Foto di classe con ingrandimento di un particolare.
Archivio Corbara, Biblioteca Comunale di Faenza.
Fra le centinaia di foto che compongono la galleria in cui si specchia la lunga storia del Liceo Torricelli (http://www.liceotorricelli.it/storiche), ce n'è una celeberrima. Numerose volte pubblicata e descritta, riprodotta anche in tante pagine web, risale all'anno scolastico 1900-01. E' una foto di classe: nessun insegnante, diciotto studenti disposti in tre file. Seduto in prima fila, un giovane con i calzoni chiari e i baffetti sembra sfidare l'obiettivo, sottraendosi all'invito di guardare a destra. Un compagno della seconda fila appoggia la mano sulla sua spalla; i due sono accomunati dalla foggia degli abiti, dal taglio dei capelli, dalla postura, quasi a rimarcare un’intesa. Ma quello della prima fila spicca per una singolare eleganza, oltre che per un aristocratico cipiglio, mentre quello dietro pare impacciato nel tentativo di emulare l'amico. Che è stato identificato come il poeta Dino Campana, quindicenne.
La foto non proviene dagli archivi degli eredi Campana, ma costituisce un ritrovamento assai più recente. Ne diede notizia, pubblicandone un dettaglio, Claudio Marabini, che in un articolo del 19591 dedicato alla storia del Liceo Torricelli parlò di una scoperta «miracolosa». Fu anche il primo ad osservare che il giovane sembra più maturo dei compagni: «dimostra diciotto, vent'anni». Mentre, aggiungiamo noi, Campana, che aveva abbreviato di un anno il suo corso di studi, dovrebbe essere il più giovane del gruppo.
La foto di classe esposta durante la mostra del centenario (30 aprile 1961) ed il relativo cartellino.
Archivio del Liceo Torricelli.
La miracolosa scoperta risaliva a due anni prima. Nel 1957 il fotografo Gorini2 aveva rinvenuto la lastra e l'aveva mostrata a Vittorio Ragazzini, allora preside del Torricelli. Fu Ragazzini a divulgare la notizia del ritrovamento e dopo di lui Giuseppe Bertoni, che l'anno seguente, succedutogli nella presidenza, già stava preparando le celebrazioni del centenario del liceo. Dalla lastra originale si fecero varie ristampe, una copia fu esposta nel 1961 alla mostra del centenario.
All'epoca alcuni degli alunni fotografati erano ancora viventi: fra gli altri Giulio Capra, Renato Romagnoli e Francesco Corbara, padre di Antonio Corbara, medico molto noto a Faenza per i suoi studi sull'arte locale. Diversi anni più tardi Antonio Corbara3 avrebbe pubblicato un resoconto su Dino Campana a Faenza, prezioso per le informazioni sugli ambienti da lui frequentati. Si sarebbe soffermato sulla foto, pervenuta a suo padre attraverso il compagno di studi Renato Romagnoli e avrebbe trascritto due lettere inviategli nel 1957 dal vecchio dottor Giovanni Collina4, già vicino di casa e frequentatore di Dino nei suoi anni faentini. Nella seconda lettera, Collina ad una richiesta di Corbara, risponde perentorio: «Non c'è dubbio: la seconda figura in basso alla destra di chi guarda è Dino Campana»5. Ma che bisogno aveva Antonio Corbara, per identificare Dino, di rivolgersi a Collina, quando aveva a disposizione altri testimoni più diretti, fra cui il proprio padre? Evidentemente Corbara (padre) e gli altri avevano delle riserve, e le avevano a buon diritto, perché non ricordavano di avere mai avuto fra i compagni di scuola un Dino Campana. Infatti, nel 1900-01, anno in cui Dino Campana frequentava la prima liceo (e Giovanni Collina la seconda), Francesco Corbara, Romagnoli e gli altri erano alunni di quinta ginnasio.
Ci soccorre il professor Enrico Docci, all'epoca corrispondente da Faenza di vari quotidiani ed anche della RAI per conto della quale curò un servizio sul poeta. Docci ricorda ancora bene le vicende di quel ritrovamento, sul finire degli anni '50, anche perché del gruppo fotografato fa parte suo padre Gino, altro vecchio compagno di scuola di Francesco Corbara. «Mio padre» dice Enrico Docci «resistette a lungo al riconoscimento di Dino Campana. Sosteneva con decisione che quel giovane dai calzoni chiari era un altro, e ne faceva anche il nome. Ricordo di averlo sentito esclamare: "Ma questi qui mi vogliono fare passare per imbecille!". Con lui si schierarono altri; ricordo in particolare Giulio Capra. Si formarono due partiti. Poi il partito dei campaniani prevalse e mio padre si adeguò».
Dunque, l'identificazione di Dino poggiò innanzitutto sulla testimonianza del dottor Collina, che almeno in un'altra occasione si è mostrato imprecisa6, ed era contrastata da altre testimonianze. Forse più ancora giocò l'innegabile somiglianza con la più canonica delle foto di Campana7: quella, posteriore di qualche anno, che lo ritrae con grandi baffi e l'accenno di una smorfia di sofferenza; e più ancora con il ritratto che Alberto Sughi ricavò da quella foto. L'entusiasmo per quello che ora si direbbe uno scoop fece trascurare gli indizi contrari: quell'aspetto non proprio da quindicenne, la difformità da tutte le descrizioni di chi conobbe il poeta. La più pertinente per cronologia è di Michele Campana, che in quegli anni lo frequentò: «Era un bel bambino, con una faccia tonda, paffuta, rosea, circondata da una massa di capelli biondi, con due occhi grandi e penetranti di un grigio che toccava il celeste dei laghi; ed un naso un po' caparbio, all'insù che lasciava scoperte le due narici. Tale si mantenne fino ai vent'anni, crescendo di media statura, di larghe spalle, di petto saldo, forte»8.
Ma l'obiezione più forte è un'altra: come giustificare la presenza nel gruppo di quel ragazzo estraneo alla classe? Forse qualcuno, equivocando, ricordava di avere avuto per un breve periodo un Campana fra i compagni di scuola; ma si trattava appunto di Michele Campana, anche lui alunno del Torricelli per un anno solo, nella prima liceo 1901-02, dunque futuro compagno di scuola dei fotografati (o meglio, di undici di loro: quelli che sarebbero stati promossi ed avrebbero proseguito gli studi liceali). Qualcuno avanzò un'altra ipotesi: che la foto, scattata a fine anno, comprendesse non solo gli alunni interni ma anche i privatisti candidati alla licenza ginnasiale. E' questa l'ipotesi proposta da Corbara9, che però non regge ad un controllo dei registri. I registri, assai difficili da consultare negli anni '50, ora ci dicono che nel 1901 i candidati alla licenza ginnasiale furono ben quarantasei e che fra di loro non ci fu Dino: non ci poteva essere perché aveva già conseguito la licenza l'anno precedente10.
Qualche anno più tardi Gino Docci, ormai arresosi al partito campaniano, scriverà sul verso della copia della foto in suo possesso una didascalia completa. Nomi, cognomi ed anche soprannomi dialettali, che confermano la nitida persistenza del ricordo. E' un documento inedito che qui trascriviamo:
R. Liceo Ginnasio «E. Torricelli» di Faenza / (classe V Ginnasiale - anno scolastico 1900-'01) / - Da sinistra a destra cominciando dall'alto - / - Natale Santandrea (Nadalé) - Angelo Tartagni - Vincenzo Babini - Giuseppe Pianori (Fafina) - Francesco Corbara (Chichì) / Giulio Capra (Capucciò) - Alberico Beltrani (Vulcano) - Fernando Valvassura (Schibò) - Giulio Damiani (Damià o Muzgò) - Alessandro Sangiorgi (Sandrì) - Francesco Naldoni - Gino Docci / Renato Romagnoli - Carlo Mori11 - Nicola Frassineti (Niculé) - Zaccarini Giovanni - Dino Campana - Gian Battista Liverani (Barachì) / - Mancano in questa fotografia due altri alunni di allora: Matteo Bulzacca e Antonio Rambelli12. / - Le presenti indicazioni sono state scritte la sera del 15 Novembre 196313
Annotazione dal professor Gino Docci sul verso della foto di classe, con ingrandimento di un perticolare.
Proprietà Valerio Docci, Bologna.
Ad un riscontro sui registri, la didascalia pare molto fedele, benché sia stata scritta dopo più di sessanta anni. A parte un'omissione, di cui diremo, c'è un solo nome sbagliato: Giovanni Zaccarini invece di Luigi Zaccherini (il suo nome, unico, segue il cognome anziché precederlo: è la spia di un'incertezza). Ci sono poi due nominativi estranei alla classe: uno è Francesco Naldoni, che sarebbe proprio il giovane che tiene la mano sulla spalla del presunto Dino Campana, l'altro è appunto il futuro autore di Canti Orfici. Ma Francesco Naldoni14 nel 1900-01 è allievo di quinta ginnasio presso i salesiani; supererà alla fine dell'anno scolastico l'esame al Torricelli, dove poi frequenterà tutto il triennio liceale; non possiamo escludere che in prossimità dell'esame ginnasiale si fosse in qualche modo già inserito nel gruppo di cui faceva parte un amico, magari fosse stato ammesso alle lezioni come uditore. Non si spiega invece la presenza di Campana, studente di prima liceo. Così, quando arriva a lui, Gino Docci esita, pasticcia, inverte un nome, cancella con una sostanza simile al bianchetto, corregge: perché, anche se ha rinunciato alla sua battaglia, sa che quello è in realtà un altro. Anche la macchia della cancellatura sembra compatibile con l'unico nome che, presente nei registri della scuola, è omesso nella didascalia di Gino Docci: tale Filippo Tramonti, all'epoca diciottenne perché nato il 17 ottobre 1882. Anche lui proveniente dai salesiani, anche lui alunno del Torricelli per un solo anno, anche lui nato a Marradi15. Chiediamo ad Enrico Docci se per caso fosse Tramonti il cognome che suo padre proponeva per quel giovane: «Sì, mi sembra proprio di sì!» esclama.
Un controllo esercitato con le più moderne tecnologie ci ha dato la conferma risolutiva. La dottoressa Silvia Docci, nipote di Enrico, è specialista in beni librari e archivistici. Ha sottoposto il documento ad un'apparecchiatura a raggi infrarossi, il Multispectral System, che viene usata per i palinsesti, e, dietro ad una crosta di ossido di titanio (un pigmento usato dai pittori), è apparso chiaramente leggibile il cognome "Tramonti".
Dunque, quel giovane con i calzoni chiari, i baffetti e l'espressione accigliata si chiamava Filippo Tramonti.. L'immagine di Dino Campana studente e dei suoi compagni di prima liceo, se mai fu fissata su una lastra fotografica, non ci è pervenuta. Oppure bisognerebbe cercarla in quell'archivio da cui Luigi Gorini nel 1957 recuperò la lastra della quinta ginnasio, se di esso qualcosa fosse sopravvissuto16.
Abbiamo così intrapreso la ricerca di questo Filippo Tramonti e non è stata una ricerca facile. L'anagrafe di Marradi, che registra la sua nascita nel 1882 nella frazione di Biforco, non ha mai acquisito la notizia del suo decesso. Nel 1907 lo troviamo a Firenze, nel 1917 a Modigliana dove esercita le funzioni di cancelliere di pretura. Nel 1919 si trasferisce a Montevarchi. Ma qui le sue tracce si perdono perché l'anagrafe di Montevarchi afferma di non avere notizia di lui. Così pure non hanno dato esito le ricerche in cimiteri e parrocchie, né fra i numerosi Tramonti originari di Biforco o ancora lì residenti, tutti imparentati fra di loro e quindi evidentemente appartenenti ad un altro ramo della famiglia.
Ma la pista decisiva stava nelle pubblicazioni che annualmente riportano l'organico dei dipendenti del Ministero della Giustizia17. Lì sono registrati i suoi avanzamenti e suoi spostamenti di sede: dopo Montevarchi, San Pier d'Arena, poi Voltri, Genova, Reggio Emilia. Ultima tappa della carriera del cavalier Filippo Tramonti, Cancelliere Capo di Corte d'Appello, coniugato senza figli, è Bologna.
A Bologna Tramonti muore il 23 settembre 1945 ed è sepolto nel cimitero della Certosa. Sulla sua lapide, un mazzo consunto di fiori finti, l'epigrafe quasi illeggibile dettata dalla vedova ed una foto che non consente dubbi: il sessantenne cancelliere e cavaliere conserva non solo i lineamenti, ma anche un po' l'espressione severa e perfino i baffetti del diciottenne, studente tardivo di quinta ginnasiale.
La vita del suo vecchio amico Francesco Naldoni fu molto più sedentaria. Conseguita la licenza liceale nel 1904, non proseguì gli studi, anzi non ritirò mai il diploma che si trova ancora negli archivi del Torricelli. Non si sposò e trascorse tutta l'esistenza coltivando il suo podere di Campergozzole, sopra Palazzuolo. Lì si trovava il 18 luglio 1944 quando fu abbattuto con una raffica di mitra da un soldato tedesco che l'aveva sorpreso mentre portava cibo ad un partigiano ferito e ricoverato in un capanno da caccia18. Era prossimo a compiere sessantun anni; ne erano trascorsi quarantatré da quel mattino in cui fissava un po' spaesato l'obiettivo di Vincenzo Gorini nel cortile del Liceo Torricelli ed appoggiava la destra sulla spalla di un amico. Che non era Dino Campana.
[1] C. Marabini, Appena Carducci ebbe finito qualcuno si mise a piangere, in Il Resto del Carlino, 6 aprile 1959, p.3. Ma un accenno alla foto era già apparso l'anno precedente su quotidiano: Dino Campana studente a Faenza, in Momento Sera, 17 ottobre 1958, p.5. L'articolo non è firmato, ma l'autore è Enrico Docci.
[2] Secondo Enrico Docci, il ritrovatore fu Luigi Gorini (1890-1965). A quanto siamo riusciti faticosamente a ricostruire, Luigi Gorini era stato uno degli allievi di Achille Cattani figlio di Giuseppe Cattani, che nel 1904 aveva rilevato il laboratorio fotografico di un altro Gorini, Vincenzo (1856-1904): probabilmente l'autore della foto. Non ci risulta alcun rapporto di parentela di Luigi Gorini, fotografo nel '900, con Vincenzo Gorini, fotografo a cavallo fra i due secoli; al più poteva essere un pronipote. L'attività di Luigi Gorini fu proseguita per un breve periodo dal figlio Tomaso (1927-1970). Un quarto Gorini, Giuseppe, fratello di Luigi, iniziò con lui l'attività e poi aprì un suo studio a Lugo. Aggiungiamo che Achille Cattani (1893-1991) è l’autore di un'altra delle poche foto esistenti di Campana, quella che lo ritrae durante un'escursione in montagna, su cui stiamo raccogliendo notizie inedite.
[3] Fra le carte di Corbara, ora conservate nella biblioteca di Faenza, si trovano vari ingrandimenti della foto in questione. Corbara, che probabilmente ebbe a disposizione la lastra originale, era zio di un altro fotografo faentino, Borchi, del cui aiuto spesso si giovò; la lastra ora potrebbe quindi trovarsi nell'archivio Borchi, al momento inaccessibile in attesa di sistemazione. Ma sarebbe interessante sapere non tanto dove si trova ora la lastra, quanto da dove proveniva. Vedi n. 17.
[4] Giovanni Collina (1884-1967) nel 1900-01 era alunno di seconda liceo, anch'egli in anticipo di un anno sul corso di studi. Proveniente da una famiglia di artisti, fu poi medico e studioso di valore, pluridecorato per i suoi meriti di ufficiale medico durante le due guerre mondiali. Faenza gli ha dedicato una strada.
[5] A. Corbara, Dino Campana a Faenza, in Torricelliana, 1983, 34, pp. 51-66. Poi anche in D. Campana (et. al.), Souvenir d'un pendu. Carteggio 1910-1931 con documenti inediti e rari, a cura e con introduzione di G. Cacho Millet, Napoli, ESI, 1985. La lettera è di settembre. Nella prima lettera, che è di aprile, non si fa menzione della foto; quindi il ritrovamento si dovrebbe collocare fra questi due mesi.
[6] Vedi, in questo stesso volume, Con Dino Campana al Liceo Torricelli, n. 7.
[7] Oltre alle due citate, ci risulta che se ne conoscono altre sei in tutto: piccolissimo in famiglia in due diverse foto, poi alunno di terza elementare, poi durante un'escursione in montagna con amici (vedi n. 2), poi con Sibilla Aleramo ed infine ricoverato al manicomio di Castel Pulci.
[8] M. Campana, Ricordi di Dino Campana, in 20 agosto. Nel 70° anniversario della nascita del poeta Dino Campana, Numero unico, Marradi 1955, pp. 6-7. Vedi anche M. Campana, La morte di Dino Campana, in Corriere Padano, 15 giugno 1932; S. Zavoli, Campana, Oriani, Serra, Bologna, Cappelli, 1959, p. 104: «aveva una lunga capigliatura biondo-rame, folta e ricciuta» (testimonianza Ravagli).
[9] Sull'anno in cui Dino frequenta il Torricelli, non solo Corbara appare poco informato, ma anche Bertoni, solitamente così preciso nella ricostruzione delle vicende del Torricelli, compie un errore. Vedi G. Bertoni, Cronaca dei cento anni del Liceo «E. Torricelli», in Il Liceo Torricelli nel primo centenario della sua fondazione, Faenza, Stabilimento grafico Fratelli Lega, 1963, p. 18.
[10] Di 46 alunni, 13 furono promossi a giugno, 17 (fra cui Michele Campana) a ottobre.
[11] Era il figlio del professore di fisica.
[12] Effettivamente Bulzacca fece ben 23 assenze nell'ultimo bimestre; Rambelli solo tre.
[13] Documento di proprietà di Valerio Docci, Bologna. Un'altra didascalia della foto, assai più lacunosa, si trova nell'archivio Corbara conservato nella Biblioteca Comunale di Faenza; solo otto gli alunni identificati, di cui due con il solo cognome. Sette coincidono con la didascalia Docci (Santandrea, Corbara, Damiani, Docci, Romagnoli, Campana e Liverani), l'altro è indicato come «dott. Bolognini» ed è invece Carlo Mori. Nel 1900-01 l'unico Bolognini frequentante il Torricelli era in prima ginnasio; c'era poi un Bolognesi in quarta ginnasio.
[14] Francesco Naldoni, nato a Palazzuolo sul Senio 1-8-1883. Un'anziana parente (Elide Naldoni) non è stata in grado di riconoscerlo dalla foto; ha però confermato che era «alto e moro».
[15] La comune provenienza dai salesiani e la vicinanza fra Palazzuolo e Marradi possono deporre a favore di una amicizia fra Naldoni e Tramonti, come fra Naldoni e Dino Campana. Ma Tramonti era anche quasi coetaneo di Naldoni: un anno di differenza, mentre fra Naldoni e Campana gli anni sono due. Inoltre, Tramonti e Naldoni, a differenza di Campana, avevano frequentato anche le elementari ai salesiani. Si aggiunga che Tramonti già nel 1900 si era presentato agli esami di licenza ginnasiale al Torricelli, proveniente dai salesiani; bocciato, aveva scelto di ripetere la quinta al Torricelli, ma, come sembra di poter ricavare dai registri, era ancora convittore all'Istituto Salesiano: come Naldoni e differentemente da Campana.
[16] L'unica pista possibile passa dall'archivio di Cattani, successore di Vincenzo Gorini (vedi nota 2). Esso però ora è stato acquisito da un «Centro Studi e Archivio della Comunicazione» dell'Università di Parma ed è praticamente inaccessibile.
[17] La pubblicazione, che cambia nome negli anni (prima Annuario del Ministero di Grazia e giustizia e dei culti, poi Annuario del Ministero della giustizia e degli Affari di culto, infine Graduatoria del personale del ministero e delle amministrazioni dipendenti) è reperibile per intero solo presso la Biblioteca Centrale Giuridica di Roma.
[18] Comunicazione scritta del dr. Roberto Campomori, direttore della Biblioteca di Palazzuolo sul Senio, confermata dalla testimonianza di Elide Naldoni. Vedi n. 14.