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Ringraziamenti
Un grazie particolare va al
Professor Alessandro Montevecchi, mio coordinatore per la ricerca di storia,
che oltre ad avermi assistito con grande disponibilità per l'intera
durata del lavoro, mi ha fornito dell'utile materiale personale in corso
di pubblicazione per il Comune di Faenza e la Società Torricelliana.
Ringrazio inoltre il mio professore di storia e filosofia Gianguido Savorani
per l'assistenza fornitami durante lo svolgimento del lavoro e la biblioteca
del Liceo Torricelli, per avermi fornito testi che, data la loro antichità,
mi sarebbe stato impossibile reperire altrove.
Il registro
del Ginnasio Municipale con i voti dell'alunno Alfredo Oriani.
Anno scolastico 1861-62.
Alfredo
Oriani, il pensiero
Alfredo Oriani, vissuto in
Romagna (Faenza, Russi, Casola Valsenio, Bologna ecc.) è una delle
personalità più affascinanti e complesse a livello locale
del periodo fra '800 e '900. Era nato a Faenza nel 1852 da una famiglia
aristocratica e molto ricca; dopo la laurea in giurisprudenza, conseguita
a Napoli, cominciò la carriera presso uno studio notarile di Bologna;
tutta la sua vita fu caratterizzata da un'abbondante produzione letteraria:
romanzi e saggi storici. Morì nel 1909 a Casola Valsenio. Lo stile
delle sue opere rispecchia perfettamente la sua complessa personalità.
Quest'ultima, insieme alla sua vicenda personale, lo portò spesso
ad essere indicato con termini diversi come storico, politico e scrittore.
Oriani possedeva sia l'ingegno dei letterati (sebbene spesso gli sia stata
rivolta l'accusa di non avere sufficiente cultura e conoscenza degli avvenimenti
da lui narrati) sia la passione dei romantici; era questo il suo tratto
dominante, che spesso lo portava a subordinare il fatto all'idea e a lasciarsi
guidare, nella composizione delle sue opere, da una "passione"
e una "foga" che originano uno stile enfatico e poetico, a volte
definito oscuro. Il suo pensiero è espresso soprattutto nelle sue
ultime opere, come i trattati storici-filosofici e politici Fino a Dogali
(1889), La Lotta Politica in Italia (1892) e La Rivolta Ideale (1908),
che si pone come sintesi e conclusione di tutta la sua produzione.
Oriani al Cardello. Appoggiata alla casa la sua bicicletta
Alla base del
suo pensiero vi è la tematica dell' "ideale", dello "spirito",
in opposizione alla materialità della vita. Queste categorie sono
indubbiamente di origine hegeliana; infatti Oriani, in gioventù,
aveva sicuramente appreso qualcosa del pensiero idealista pur senza studiarlo
sistematicamente. Per Oriani la vita è tragicamente priva di mutamento;
essa è in netto contrasto con la sua idea di spirito: forte e impetuoso,
quasi vittima delle sue stesse emozioni. Questa inconciliabilità
fra la vita e lo spirito umano sfocia in un vero e proprio conflitto volto
ad assoggettare l'animo umano alla gretta materialità della vita.
Tuttavia Oriani afferma che l'uomo è riuscito, nel corso della
sua storia, a liberarsi parzialmente da questa forma di dipendenza dal
mondo materiale (che lui definisce "schiavitù dalla materia")
e a sviluppare una propria personalità capace di comprendere anche
il più complesso mondo degli ideali e dei valori.
Ma il suo amore per l'ideale non si ferma qui e viene spesso enfatizzato
fino a diventare un vero e proprio culto. "Non si vive che nello
spirito. Bisogna sognare la bellezza, la virtù e la verità
per non soccombere al dolore e alla nausea della vita". Oppure: "Nell'ideale
soltanto è la bellezza della vita". In queste frasi, tratte
dal capitolo conclusivo della Rivolta Ideale (Opera Omnia a cura di Benito
Mussolini) si capisce chiaramente il pensiero dello scrittore del Cardello,
ma si nota anche una sorta di pessimismo nei confronti della vita (per
lui moralmente degradata rispetto ai tempi antichi) che sfocia nell'impossibilità
di "infondere" nel mondo un' idea superiore se non a prezzo
di grandi sacrifici; le idee, infatti, nascono dall'istinto dell'uomo
e se, da una parte, si realizzano grazie alla passione della massa, dall'altra
parte sono però incarnate solamente dai grandi uomini, la cui lotta
li nobilita al punto da indurli a sacrificare se stessi per l'idea. Ma
è proprio in questo sacrificio che i grandi uomini (portatori di
un'idea che, al momento della loro morte, si è già incarnata
nell'umanità) trovano per primi quella che Oriani chiama la "libertà"
e che sarà caratteristica della nuova umanità; e qui, nella
ricerca di un'umanità sempre trascendente se stessa, si può
chiaramente avvertire la presenza di Nietzsche.
Questa passione per lo spirito, questo culto per l'idea superiore si rispecchia
anche nel suo pensiero politico. Per Oriani in ogni epoca della storia
dell'uomo l'eccellenza e la superiorità innalza alcuni individui
rendendoli dominatori sugli altri; gli individui dominati, incapaci di
provvedere al mantenimento della propria vita senza turbare gli equilibri
della società in cui vivono e incapaci di decidere cosa è
giusto per loro poiché privi della possibilità di comprendere
il mondo dell'ideale, non possono che obbedire a questi dominatori. Con
la loro obbedienza non fanno altro che rinunciare alla loro libertà
(che per Oriani è la possibilità di decidere per se stessi)
in cambio della protezione e della guida degli individui dominanti capace
di garantire loro una vita normale. Per lui è quindi sempre esistita
(ed esisterà sempre) una Aristocrazia, una cerchia di uomini superiori
contraddistinti dal carattere e dall'onore, capaci di imporre a se stessi
doveri ancora più grandi dei privilegi. A giudizio di Oriani l'aristocrazia
non è privilegio, ma onere: si deve pensare e volere per gli altri,
vedere oltre il proprio egoismo. Questa visione porta Oriani a sviluppare
una concezione aristocratica e ristretta del potere, affidato ad una élite
di esseri superiori capaci di coordinare la massa, per la quale Oriani
prova una forte avversione. Non odia la massa in sé, ma odia la
sua ignoranza e teme il governo da essa esercitato nella sua epoca. La
superiorità dei grandi uomini si traduce, a suo vedere, in un distacco
nei confronti degli inferiori: l'aristocrazia preferisce "salire"
piuttosto che "durare", e quindi fa propri determinati valori,
quali il disprezzo per la morte. La folla si comporta nell'esatto contrario:
antepone ogni cosa alla conservazione della vita. Questa tematica, di
eco nietzscheana, fa sì che la folla gli appaia scarsa di intelligenza
e di sentimento, limitata, in ogni sua azione (dal lavoro alla cura dei
figli) dall'egoismo.
Nella massa il conflitto fra mondo materiale e spiritualità umana
di Oriani termina sempre con la vittoria della materia a causa dell'incapacità
da parte della massa di assimilare i veri ideali: la massa non sa cosa
sono valori come l'onore o il coraggio. Questa ristrettezza di pensiero
è la rovina degli esseri superiori che vengono quasi sempre non
capiti o fraintesi per semplici tiranni. Ma questa chiusura mentale è
allo stesso tempo la più grande garanzia di sopravvivenza della
massa poiché essa desidera solo ciò che il suo pensiero
limitato può pensare; quindi la massa, essendo tutt'altro che ambiziosa
non è mai portata a rischiare la propria vita o i propri averi
in vista di un fine superiore. In questo è racchiuso il fine ultimo
della storia, in vista del quale il sacrificio di ogni aristocrazia non
costituisce altro che una progressiva elevazione del popolo. Questo punto
è più facilmente comprensibile se si pensa che per Oriani
la massa ha il compito fondamentale di diffondere nella storia, con la
sua passione, le idee superiori incarnate dai grandi uomini, i quali da
soli non sono che precursori di un'idea destinata nella loro epoca a rimanere
inascoltata. Oriani ammette che nella sua epoca l'aristocrazia è
decaduta, essa è sopravvissuta fino a quando si impegnava, come
vuole il suo stesso concetto di aristocrazia, a mantenere e conservare
la vita del popolo, ma ha commesso un grave errore: "abbassare gli
altri invece di innalzare se stessa". Oramai è stata assorbita
prima dalla borghesia (che Oriani considera una "aristocrazia basata
sul denaro"), poi dalla democrazia, la quale con l'allargamento del
diritto di voto, ha fatto del popolo l'unico imperatore. Sebbene sia nel
popolo il fine della storia, l'epoca presente è, per Oriani, un
periodo di crisi poiché il popolo non ha ancora preso coscienza
di sé ma si comporta come un fanciullo: capriccioso e guidato dall'istinto,
pronto ad arrendersi alla prima concessione e facilmente strumentalizzabile.
Manca quindi quella presa di coscienza, che per l'Oriani può avvenire
solo con la nascita di una nuova aristocrazia, diversa dalle precedenti.
Infatti, mentre le prime si basavano su di un carattere superiore (come
l'aristocrazia religiosa, guerriera o censitaria), la nuova darà
il giusto riconoscimento ad ogni superiorità: con essa non ci saranno
più grandi uomini e tutti potranno farne parte.
Dall'avvento del popolo in politica (con il suffragio allargato) si può
ricavare la concezione della storia di Oriani. Per lui l'uomo è
il mezzo e il fine della storia, questa risulta quindi una proiezione
della nostra vita, un insieme di epoche ciascuna caratterizzata dall'affermarsi,
tramite l'aristocrazia e la massa, di un'idea che è destinata,
una volta scomparsi gli uomini che la incarnavano, a sopravvivere per
arricchire continuamente il patrimonio spirituale del genere umano. In
questo cammino, che spesso Oriani paragona a una recita, ogni popolo è
come un attore, la cui anima collettiva si fa nelle varie epoche incarnatrice
di diversi caratteri umani che, una volta perfezionati, rimangono, nonostante
il tramonto del popolo che li rappresentava (anche qui il pensiero di
Hegel è evidente). Il fine ultimo della storia è la libertà
dell'uomo, perciò esso coincide con la libertà della massa,
intesa non come democrazia ma come "aristocrazia nuova", nel
senso sopra spiegato. Nel suo lungo cammino la storia è ormai arrivata
al termine, manca solo la presa di coscienza di sé da parte del
popolo per arrivare al fine ultimo, come lo stesso Oriani scrive nel finale
del suo ultimo libro (La Rivolta Ideale) : "La storia universale
sta per accordare nel proprio ritmo tutti i popoli".
Quella che precede è una breve sintesi del pensiero di Alfredo
Oriani; sarebbe possibile uno studio più approfondito, ma credo
che questo basti a permettere al lettore di capire i successivi utilizzi
del suo pensiero nell'ideologia Fascista.
Utilizzo fascista di Oriani
Il Fascismo strumentalizzò
le opere e il pensiero di Alfredo Oriani facendo di lui un precursore
dell'ideologia fascista. La strumentalizzazione avvenne in maniera differente
da quella che si verificò in Germania riguardo al pensiero del
filosofo Friedrich Nietzsche, che fu attuata tramite la manipolazione
da parte nazista di alcuni manoscritti pubblicati postumi. In Italia il
fascismo fece di Oriani un precursore tramite un'accurata opera propagandistica
da parte del regime e di molti intellettuali filofascisti. I motivi per
cui il pensiero di Oriani fu preso in considerazione e riletto in chiave
fascista sono molteplici. Innanzi tutto lo stesso Oriani costituiva una
figura di eccezionale rilievo per la sua zona e ciò contribuì
a livello locale all'affermarsi dell'idea di Oriani come precursore del
fascismo. Inoltre si fece molta leva sulla stessa origine romagnola di
Oriani e di Benito Mussolini, fino a creare il mito della Romagna terra
contadina, ma anche terra di passioni e grandi uomini. Queste motivazioni
storiche, che furono portate avanti per molto tempo (in tutta la pubblicistica
del ventennio compaiono spesso articoli che sviluppano il parallelo Oriani-Mussolini),
furono improvvisamente abbandonate e messe a tacere quando, verso gli
anni '40, il fascismo originò una tendenza a soffocare ogni ricordo
e ogni tradizione di cultura locale. Ma oltre alle motivazioni storiche
ne esistono altre, decisamente più importanti, di tipo concettuale.
E' impossibile negare che il pensiero di Alfredo Oriani, in alcuni tratti,
fornisca idee e concetti in pieno accordo con l'ideologia fascista, anche
se è evidente che la rilettura fattane dal fascismo è stata
indubbiamente gonfiata e alterata. Tra i punti che potremmo definire "in
accordo" con le teorie fasciste si segnalano l'idea imperiale di
Roma e, più in generale, un intenso sentimento nazionalista, ma
anche la forte caratterizzazione interventista della politica estera.
Oriani asserisce, infatti, che niente esprime il valore, la gloria e il
primato di un popolo come la politica estera; inoltre la sua avversione
per la massa, la sua preferenza per un governo elitario fatto di uomini
capaci è stata vista come una sostanziale tendenza antisocialista
e antidemocratica.
Mussolini
davanti al sepolcro di Oriani (27 aprile 1924)
L'utilizzo fascista di Oriani
e il mito di un Oriani precursore del fascismo nascono il 27 aprile del
1924 con la "marcia al Cardello" (per celebrare la scomparsa
dello scrittore). In quell'occasione lo stesso Mussolini tenne un discorso
nel quale esplicitamente si riconoscevano le "camicie nere"
come discendenti dell'Oriani ("Siamo venuti noi che apparteniamo
alla generazione di Alfredo Oriani […]"), o ancora più
esplicitamente si parlò di Oriani come di un precursore ("[…]
e consideriamo Alfredo Oriani come un Poeta della Patria, come un anticipatore
del Fascismo, come un esaltatore delle energie italiane. Oso affermare
che, se Alfredo Oriani fosse ancora fra i vivi, egli avrebbe preso il
suo posto all'ombra dei gloriosi gagliardetti del littorio."). Attraverso
queste parole è facile capire l'interesse dello stesso Mussolini
nel creare il mito dell'Oriani precursore. Mito che durò per buona
parte del ventennio, fino all'Opera Omnia pubblicata a cura dello stesso
Mussolini. Oriani divenne anche argomento scolastico e a testimonianza
di ciò abbiamo l'antologia scolastica di brani tratti dalle opere
di Alfredo Oriani curata da Mussolini e da Federzoni nel 1928, in opposizione
a quella curata da Piero Zama (di cui ci occuperemo in seguito). Nella
prefazione dell'antologia, Federzoni ricalca molto lo stile del discorso
di Mussolini nella marcia al Cardello e fa dell'Oriani l'esaltatore della
stirpe italica, del culto della romanità, l'ideologo della missione
imperiale e un forte contestatore degli ideali democratici e socialisti.
Per Federzoni il primato educativo dell'Oriani sta nell'aver tenuto fede,
nelle ore più buie, all'avvenire della patria, mentre nella sua
concezione dello Stato sarebbero presenti i presupposti del futuro Stato
fascista. Federzoni fa riecheggiare il binomio Oriani-Fascismo per tutta
l'Antologia, arrivando a dire che nell'opera dell'Oriani vi sono chiari
riferimenti alla "rivoluzione fascista e al suo Capo"; la strumentalizzazione
è chiara anche nei brani raccolti (selezionati dallo stesso Mussolini),
dove frammenti come Andate dunque a Roma! diventano chiari segni del futuro
dominio fascista (in questo caso è palese il collegamento alla
futura marcia su Roma). L'utilizzo di Oriani è forte anche a livello
locale nella pubblicistica, molti intellettuali locali si accordano con
la teoria dell'Oriani fascista, un esempio è dato da Michele Campana,
che scrive sul "Corriere Padano" alcuni articoli come "Pellegrinaggio
al Cardello" (numero del 19-1-1929) e "Ritorna l'ombra di Alfredo
Oriani" (numero del 18-10-1933), carichi di retorica e delle tipiche
tematiche orianesche riconducibili al fascismo.
Contesto culturare a Faenza all'avvento del Fascismo
Faenza presenta, dal punto
di vista culturale, una situazione anomala, rispetto al resto della Romagna,
per quel che riguarda gli intellettuali e il rapporto con la cultura.
A Faenza, infatti, non si verifica la trasformazione dell'economia sempre
più a vantaggio della piccola e media borghesia industriale, ma
restano prevalente la rendita agraria. Inoltre vi è un grande distacco
tra la cerchia degli intellettuali e gli strati del proletariato urbano
(agricolo e industriale), ma anche tra la piccola e la media borghesia.
Tutto ciò porta Faenza ad una chiusura di tipo elitario per quel
che riguarda la cultura. Fra gli intellettuali vi è la consapevolezza
di questo distacco di fronte al quale essi reagiscono con lamentele dai
toni quasi frustrati. Già nel 1909 un personaggio del calibro di
Giuseppe Donati denunciava questo problema in un articolo sulla "Voce",
dove tracciava un esauriente quadro delle personalità sociali faentine
dal quale emergeva il predominare del "borghese dal capitale ristretto
e timido" e dell' "impiegato di secondo ordine modesto e ristretto
come il borghese". Donati accenna anche alla presenza di "nobili
senza fasto", oziosi ed inetti e conclude con una panoramica delle
letture in città, dove si lamenta della scarsa richiesta di testi
filosofici ed economici. Da ciò si capisce come il quadro della
cultura faentino sia dominato da un gruppo elitario di intellettuali (tra
cui spiccano personalità come Piero Zama, Giuseppe Donati ma anche
Armando Cavalli e il musicista Caffarelli), animati da un senso di inquietudine
e frustrazione. Le cause di questo disagio sono da ricercare, oltre che
nel contesto faentino (ma non solo: sentimenti antisocialisti e antipopolari
erano in generale piuttosto diffusi nell'immediato dopoguerra, insieme
con un forte nazionalismo), anche nei sentimenti che accomunano questi
intellettuali: un sentimento di insoddisfazione nei confronti della politica
giolittiana, del materialismo positivistico, del cattolicesimo conservatore.
Da sempre Faenza è l' "isola bianca". per cui è
normale che molte delle polemiche qui affrontate siano in relazione all'ambiente
cattolico: basti pensare che molti degli intellettuali sopracitati hanno
origine comune in quanto allievi di Monsignor Francesco Lanzoni. Inoltre
esiste un forte sentimento nazionalista e un vero e proprio culto del
risorgimento, sempre vivo in Romagna, espresso attraverso la passione
per la letteratura di Alfredo Oriani. Gli stessi Zama e Donati chiameranno
la loro testata con il titolo di una delle più famose opere dello
scrittore del Cardello: "La Rivolta Ideale". Le loro idee e
la loro insoddisfazione troveranno espressione sotto forma di articoli
in molte delle riviste dell'epoca, ne "Il Risorgimento" troviamo
Zama, Donati e Caffarelli, ma essi compariranno anche in altre testate;
addirittura Zama e Donati fonderanno nel 1913 la già citata "La
Rivolta Ideale", vero e proprio manifesto della loro ideologia liberale.
Un acceso nazionalismo, un vero e proprio culto per la guerra che sfocia
quasi in echi eroicheggianti, una ostilità profonda per la dialettica
democratica e le altre forme di parlamentarismo che riducono la politica
ad un mercanteggiare: sono queste le principali caratteristiche che il
fascismo incontra nei giovani intellettuali faentini. Giovani pronti a
diventare interventisti, seguendo le ideologie di Mazzini reinterpretate
in chiave più liberale attraverso il pensiero di Oriani. Con l'avvento
del fascismo però ci sarà un cambiamento nei rapporti fra
gli intellettuali, l'amicizia e la vivace collaborazione che li avevano
legati nel periodo precedente cominceranno a mostrare i primi segni di
lacerazione e ciascuno intraprenderà una strada diversa: Caffarelli
proseguirà solitario scegliendo l'esperienza mistica ad esoterica,
nutrendo in segreto ideali liberali e pacifisti, Cavalli porterà
avanti con vivo interesse un'intelligente polemica antifascista, Donati
reagirà con un categorico rifiuto del fascismo e morirà
in esilio, Piero Zama, invece, aderirà in un primo momento al fascismo
ma, come vedremo in seguito, lo farà a modo suo cercando di portare
avanti tematiche particolari.
Monsignor Lanzoni
e Giuseppe Donati in esilio a Malta nel 1931
E' interessante
osservare che il crogiolo di diverse idee e scelte di vita che viene in
contatto con il primo fascismo si sia generato per la maggior parte da
un'unica matrice comune: Monsignor Francesco Lanzoni. Una completa analisi
del pensiero e dell'opera di questo grande personaggio non è possibile
in questa ricerca, ma può essere utile citarne i postulati fondamentali.
A livello letterario Lanzoni viene ricordato per la sua opera di storico
e agiografo, portata avanti con concretezza e serietà e caratterizzata
da un analisi storica, anche ecclesiastica, animata da un' assoluta imparzialità.
Nonostante la sua opera sia indubbiamente di un notevole valore, essa
fu criticata (seppur in tono amichevole) da molti dei suoi allievi, che
lo giudicarono troppo attaccato ai dettagli e sempre preoccupato di scadere
nella soggettività. Queste critiche sono un'ulteriore prova della
simpatia degli intellettuali del tempo per la storiografia di tipo Orianesco.
Dal punto di vista politico Lanzoni è caratterizzato da una originalità
di pensiero inusuale fra i cattolici dell'epoca (lo stesso Donati nella
"Voce" scrive "solo alcuni preti offrono un esempio non
indegno", con probabile allusione al Lanzoni); è insita in
lui una profonda concezione cattolico liberale che si concretizza nella
piena rinuncia ad ogni potere temporale e nella ricerca di un corretto
rapporto fra la Chiesa e lo Stato unitario post-risorgimentale: ricordiamo
che si mostrò favorevole nel 1908 alla venuta del re a Faenza,
staccandosi da quella maggioranza di tradizionalisti cattolici che reagirono
con volantini di protesta nei confronti del sindaco e del re; tutto ciò
senza confluire negli ideali di democrazia cristiana teorizzati dal Donati.
In definitiva il pensiero politico di Monsignor Francesco Lanzoni può
essere riassunto (anche se difficilmente esaurito) in un nazionalismo
umanitario, antibellicista, per certi aspetti riconducibile a quello dei
cattolici nazionali del risorgimento, ma con in più una certa apertura
nei confronti delle riforme sociali senza però arrivare a parlare
di vero e proprio liberalismo. Il suo pensiero risulta comunque in posizione
di primo piano fino ai primi anni del fascismo, al punto che spesso, per
quel che riguarda le ideologie e le personalità sviluppatesi in
Romagna, si parla di due correnti o meglio di due scuole di pensiero,
una scuola classica, con la sua tradizione di pacata serietà scientifica
di cui massimo esponente fu Lanzoni; l'altra risorgimentale, basata sull'irrazionalismo
romantico di Oriani, animata dalla passione e dall'espressività
astratta.
Fedele a questa seconda scuola fu Piero Zama, forse l'allievo prediletto
del Lanzoni, che cercò di "applicare" gli insegnamenti
della scuola orianesca al fascismo, rimanendone però deluso. Il
confronto Oriani-Lanzoni fu al centro di vivaci polemiche tanto che vi
scrissero a riguardo persone del calibro di Armando Cavalli e lo stesso
Piero Zama. Concludendo è bene far notare come, sebbene i rapporti
fra Zama e Lanzoni rimanessero su un piano di amicizia, vi sia stato tra
i due un periodo di rapporti burrascosi dovuti all'adesione di Zama al
partito fascista: nel 1923 Zama tollera l'aggressione da parte delle squadre
fasciste alla casa del popolo e riceve, come risposta per l'accaduto,
una lettera di Lanzoni da Roma alla quale risponde con toni accesi: "oggi
perché la religione si liberi […] combattiamo il bolscevismo
bianco!", ma si firma sempre "suo dev. P. Zama". Più
avanti, nel 1924, Zama darà le dimissioni dalla carica di segretario
del "Fascio" di Faenza, ma di questo parleremo fra poco.
Piero Zama, segretario politico del fascio,
all'inaugurazione del Gagliardetto dei Balilla a Faenza
Piero Zama
Come è stato più
volte già accennato, Piero Zama è indubbiamente l'intellettuale
che più ha avuto a che fare con l'ideologia e con il pensiero di
Alfredo Oriani. Nato a Russi nel 1886 e morto nel 1984, rimase per tutta
la sua vita, eccetto i primi anni, attaccato alla città di Faenza,
dove si trasferì e dove esercitò l'insegnamento e la carica
di bibliotecario per lungo tempo. Piero Zama ebbe una vita molto intensa
durante la quale si distinse in moltissimi campi: educatore, bibliotecario,
scrittore di svariate opere e studioso, soprattutto per quel che riguarda
il Risorgimento. Questo spiega il suo indissolubile legame con l'Oriani:
parlare di Risorgimento in Romagna senza prendere in considerazione la
figura di Alfredo Oriani è impossibile. Ma il suo rapporto con
lo scrittore del Cardello non si esaurisce certo in un'analisi imparziale
di studioso del risorgimento; anzi Piero Zama condivise con l'Oriani molti
punti del suo pensiero e le opere di quest'ultimo lo influenzarono sin
dalla giovane età. Basta pensare che Zama era poco più che
ventenne quando veniva pubblicata la Rivolta Ideale, summa del pensiero
orianesco. Questo vero e proprio "culto" per Oriani (come abbiamo
visto intitolerà la sua rivista con il titolo di una famosa opera
di Oriani) non è affatto inusuale; lo stesso Donati scriveva sulla
"Voce": "ultimamente anche l'Oriani è piuttosto
richiesto". Il perché di questa passione per Oriani (che condivideva
con la sua cerchia di amici-intellettuali) è presto detto: lo Zama,
da sempre cattolico liberale (fu espulso dal seminario Faentino nel 1908
per aver partecipato ad una conferenza Murriana), sviluppò le sue
tesi interventiste e nazionaliste partendo volontario per la prima guerra
mondiale ed uscendone animato da un'aspirazione ad una rigenerazione ideale
fondata sui valori patriottici e nazionali, in pieno accordo col pensiero
orianesco.
Da qui all'adesione al primo fascismo il passo fu breve. Seguirà
poi la sua attiva partecipazione alla guida del fascio faentino fino al
suo amaro distacco all'inizio del 1924. Non si possono però capire
i rapporti fra Zama e il fascismo se prima non si fa luce sulla sua considerazione
nei confronti di Oriani. Una vera e propria ammirazione per lo scrittore
è subito evidente sin dall'articolo la "Marcia al Cardello"
(dalla "Rivolta Ideale" del 27 aprile 1924: "Noi che lo
amammo, anche nelle ore grigie, del nostro ignorato e purissimo amore
[…] e conservammo sempre nel cuore l'eco della sua tempesta e il
canto della sua speranza, noi oggi chiediamo soltanto questo, e cioè
di essere militi umili al seguito del Duce con la nostra immutata divisa".
Seguiranno poi opere dove il pensiero di Oriani verrà ampiamente
trattato (non va dimenticato che Zama era soprattutto uno scrittore).
L'opera più importante per comprendere il complicato nesso Zama-Oriani
è forse la monografia Oriani del 1928; riferendosi a questo libro
uno studioso ha definito Zama un adepto di Oriani, senza con ciò
voler usare una connotazione negativa, ma allo stesso tempo dichiarando
che l'intera opera risentiva di un' ammirazione spirituale per lo scrittore
del Cardello. L'immagine di uno Zama adepto di Oriani è però
riduttiva, soprattutto dal punto di vista storico: se da un lato è
pienamente ammissibile una comunanza di pensiero fra i due, il voler relegare
Zama alla figura di un semplice adepto verrebbe a privarlo di una fama
ed un'importanza sua che egli consegui attraverso le suo opere e la sua
vita.
In realtà quella che Zama fa dell'Oriani è un'analisi, sviluppata
da ogni punto di vista. Già nella monografia Zama discute gli aspetti
dell'Oriani storico, uno "scrittore di storia", per la precisione,
animato da una passione per i giudizi storici e fortemente desideroso
di "trovare a qualunque costo la continuità, la causalità,
l'opposizione, i fini, i legami […]." Ma Zama non esaurirà
qui la sua analisi dell'Oriani storico: in futuro vi ritornerà
con Il Risorgimento italiano nell'opera di Alfredo Oriani ("Studi
Romagnoli", IV, 1953) dove, dopo aver ripreso la sua tesi fondamentale
dell'Oriani scrittore di storia, passa a indagare sulla validità
dell'opera storica di Oriani, più volte limitata dall'accusa di
retorica. Zama ammette che la storiografia orianesca parla al cuore prima
che al cervello e commenta dicendo che Oriani non è uno storico
neutrale ma uno storico "cittadino d'Italia", a cui l'onestà
di scrittore non vieta di apparire come repubblicano e mazziniano. Anche
l'analisi del Risorgimento risulta utile per comprendere al meglio la
questione: Zama scrive che per Oriani il risorgimento è un punto
di arrivo dopo una lunga aspettazione, ma allo stesso tempo è anche
punto di partenza che per Zama culminerà nel fascismo. E' infatti
il rapporto con il fascismo che rende Piero Zama l'intellettuale dal rapporto
con Oriani più profondo e ambiguo (gli altri, Donati, Caffarelli,
ecc. pur condividendo l'amore e la passione per il pensiero di Oriani,
prenderanno tutti posizioni antifasciste).
Fu proprio il pensiero di Oriani che lo spinse ad aderire al primo fascismo:
egli era animato dal desiderio di salvare la società borghese dalla
massa socialista e vedeva nel fascismo l'unico strumento per farlo; era
questo il motivo fondamentale. Il fascismo era per lui l'unica via rimasta
per essere veramente liberali e non popolari (P.P.I. e D.C.). Una volta
aderitovi cercherà invano di mantenere il fascismo ciò che
era all'origine: un movimento di "aristocratici" cultori dell'ideale
nazionale, in accordo con le teorie di Oriani. Egli dovrà fare
i conti con la progressiva trasformazione del fascismo in un partito e
la sua successiva occupazione del potere. Deluso, si dimetterà
nel 1924, poco prima delle elezioni e del delitto Matteotti, ma per lui
il fascismo rimarrà sempre un'esperienza mai del tutto rinnegata.
La sua posizione fu sempre di difficile interpretazione e molto ambigua:
da una parte era indubbiamente socialmente e culturalmente più
aperto di quello che era diventato il fascismo, dall'altra egli continuò
indisturbato la sua attività anche dopo le dimissioni, al punto
di pensare che Zama fosse protetto dallo stesso Mussolini. Questa sua
"delusione" animò in lui il tentativo di dimostrare in
molte delle sue opere l'esito fascista come un qualcosa di non inevitabile
dopo le varie tematiche nazionaliste e interventiste, ma soprattutto cerco
di salvaguardare Oriani dalle frequenti strumentalizzazioni fasciste.
Nella monografia del 1928 spiccano alcuni commenti utili per capire l'opinione
di Zama sul binomio Oriani-fascismo. Innanzitutto Zama parla più
volte di un Oriani privo di schieramento vero e proprio ("Oriani
non appartenne a partito alcuno ma tutti valutò e criticò"
e ancora "Oriani è schiettamente e soprattutto un uomo politico,
ma non fu e non è quasi mai politico"); inoltre Zama parla
spesso della libertà intesa in termini orianeschi (concetto pesantemente
influenzato dalla filosofia Hegeliana, che vede la libertà come
essenza della personalità), termine in chiaro contrasto con le
teorie del fascismo giunto al potere. In definitiva Oriani non è
visto come un precursore ("il fascismo ha un solo autore, ieri oggi
e domani, il Duce", dirà nell'articolo Oriani e Mussolini
su "Valdilamone"). Tuttavia lo stesso Zama ammette che egli
abbia elaborato nelle "ore grigie" della patria elementi di
pensiero politico che concordano con i postulati fondamentali della dottrina
fascista: "egli sofferse di quella tremenda sofferenza da cui nacque
la rivolta fascista, ossia la nostra rivoluzione; disprezzò inoltre
quanto vi era di falso e servile nel costume politico del suo tempo scrivendo
egli - inascoltato e fors'anche deriso - intorno a tutto questo la sentenza
che con noi soltanto poteva trovare più ampia e precisa espressione
e che in noi squadristi ebbe i suoi giustizieri.". Queste parole,
pronunciate nel Discorso tenuto a Pola nel 1934 sono parole forti, che
se da un lato esprimono l'indubbia partecipazione al fascismo di Zama,
dall'altro esprimono altrettanto bene il suo pensiero, che vede Oriani
non come un precursore, ma come una personalità a se stante, che
si collega ad Hegel e che si erge a bandiera di un liberalismo conservatore
e nazionalista, non necessariamente orientato verso il regime e la dittatura.
Le opere su Oriani sono molte, ma non vi si risolve tutta la problematica
del rapporto Zama-Oriani. Piero Zama è, infatti, anche un vivace
collaboratore di molte riviste, nonché fondatore di una sua propria
testata, insieme all'amico Donati : "La Rivolta Ideale". Qui
è bene fare una distinzione fra la prima "Rivolta ideale",
dove si affermano i valori del risorgimento e dove Zama esprime la sua
posizione di cattolico liberale nazionale, e quella successiva del 1941,
con la quale Zama non ha nulla a che fare e che è caratterizzata
da un'impronta fascista (il fascismo a Faenza non aveva mai avuto una
testata propria, e con lo scoppio della guerra era riapparso il bisogno
di un organo di propaganda ufficiale), ma che comunque assume i connotati
di una debolezza frustrata.
Fra le riviste nelle quali la collaborazione di Zama si distinse maggiormente
ricordiamo "La Piè" e "Valdilamone". Ne "La
Piè", fondata nel 1920 da Aldo Spallicci (amico dello stesso
Zama) ci si occupa principalmente di attività folkloristiche; il
nodo Zama-Oriani è meglio discusso in "Valdilamone",
rivista che si pubblicò quasi ininterrottamente dal 1927 al 1935
sotto la direzione di Giuseppe Liverzani (e successivamente di Colombo
Lolli). L'obiettivo che si pone la testata è la valorizzazione
del regionalismo culturale, che culmina in un' identità culturale
miticizzata: la Romagna come terra di Oriani e Mussolini. Tutto ciò
è, come abbiamo visto, in potenziale disaccordo con la politica
di regime, che più tardi tenderà sempre a soffocare ogni
elemento relativo alla regionalità, al provincialismo e al folklore.
Nonostante questo la rivista incontrerà l'appoggio di molti fra
gli intellettuali più brillanti del tempo; tra loro Camillo Rivalta,
Zama, Caffarelli e Giuseppe Pecci, che difenderà "Valdilamone"
dalle accuse mossegli dal giornale fascista Corriere Padano protetto dal
Quadrumviro Italo Balbo. E' importante lo studio del Risorgimento non
solo come puro interesse storico e non c'è da stupirsi se gli articoli
assumono varie connotazioni (filo-mazziniani, filo-orianeschi) a volte
anche ambigue, come l'articolo sulla Marcia al Cardello di stampo fascista.
Nei suoi articoli sulla rivista Zama affrontava il parallelo Oriani-fascismo
e soprattutto quello Oriani-Mussolini ammettendo che tra i due vi furono
alcune differenze enormi, le quali tuttavia non distruggono qualche rapporto.
Tutto ciò per confermare le sue tesi sopra discusse. In conclusione
la figura di Zama è fondamentale per comprendere l'intricato nodo
Oriani-fascismo, ma allo stesso tempo è (come d'altronde lo stesso
Oriani) ambigua. Possiamo in sintesi caratterizzare Piero Zama come un
cattolico liberale di destra (nazionale e interventista), contraddistinto
da un'apertura culturale che non si riscontra invece negli ambienti fascisti
dell'epoca e che guarda all'Oriani con affetto più che con reale
ispirazione. Nella stessa "Valdilamone" compare un articolo:
Oriani sottovento ("Valdilamone, 1931, pp. 23-24), dove confessa:
"ho scritto un minuscolo libro pensando Alfredo Oriani con l'amore
e con la simpatia che i romantici non sanno negare ad un grande ed infelice
ingegno". Ma con lui condivideva, pur sempre, il pensiero di un movimento
"aristocratico", necessario a salvare la democrazia dal socialismo
e dal populismo delle masse e che egli vide identificarsi nel primo fascismo.
Piero Zama,
tra l'On. Grandi e l'Avv. Ricci
Altri
interventi su Oriani
Sebbene Piero Zama costituisca
il nucleo stesso del dibattito sui rapporti fra l'ideologia di Oriani
e la politica di regime, non è l'unico intellettuale ad avere espresso
la sua posizione nel confronto che ha infiammato per tutta la prima metà
del novecento la vita intellettuale in Romagna.
Come si è più volte ripetuto, una parte non trascurabile
della gioventù, che si affacciava alla vita politica e intellettuale
del primo decennio del secolo, è stata variamente influenzata da
Oriani. La stessa rivista "Valdilamone" ci offre gli interventi
di molti fra i più illustri intellettuali dell'epoca. Da una parte
si esprimono con idee più o meno simili a quelle di Zama (una visione
risorgimentale, liberale e nazionalista dell'Oriani) personaggi come Giovanni
Bagnaresi (Come e quando Alfredo Oriani venne vociato e fischiato a Faenza
in "Valdilamone", 1931, numero 1, pp 43-45), D. F. Bosi (Ottone
di Banzole in "Valdilamone", 1931, numero 4, pp 182-184) e A.
Cantagalli (Il Cipresso di Oriani in "Valdilamone", 1934, numero
2). Sono da notare però anche gli interventi degli esponenti della
"scuola" di pensiero opposta, ovvero di Monsignor Francesco
Lanzoni: Armando Cavalli in Uomini e cose di Romagna, Pascoli e Oriani
("Rivoluzione Liberale", 29-7-1924) giudica Oriani come il rappresentante
di tutto ciò che c'è di sbagliato e rozzo nella vita culturale
romagnola, in particolare lo accusa di sintesi sommaria, di mancare di
solidi fondamenti etici e filosofici e di trattare impudentemente materie
per le quali non possiede la necessaria preparazione. Cavalli, facendosi
portavoce della teoria delle due scuole dichiara apertamente di preferire
la serietà scientifica della storiografia Lanzoniana. Lo stesso
Lanzoni si era lanciato, non con parole dolci, contro lo stesso Oriani,
affermando che se si studia il risorgimento nelle opere di Alfredo Oriani
è impossibile capire il perché dell'unità d'Italia.
Anche Evangelista Valli, recensendo l'Oriani di Zama nel terzo numero
di "Valdilamone" del 1928, non risparmia critiche allo scrittore
del Cardello: gli riconosce un ingegno versatile, ma che, in assenza di
chiarezza e piena consapevolezza, si traduceva in giudizi arbitrari. Inoltre
critica la definizione di un Oriani ideologo liberale compiuta da Zama,
accusando l'allievo di Lanzoni di tralasciare i debiti che il pensiero
di Oriani ha nei confronti di pensatori del calibro di Nietzsche, Stirner
e Sorel. Inoltre puntualizza dichiarando il pensiero di Oriani mancante
di ogni nozione di libertà politica (per lui la libertà
di Oriani non rimane altro che pura astrazione incapace di comprendere
la storia e i problemi della vita). Ma le critiche del Valli sull'operato
di Oriani non si esauriscono qui: Oriani è anche accusato di non
aver sempre saputo assimilare con chiarezza e consapevolezza metodi e
correnti filosofiche e di essersi lasciato impressionare da tesi generali
ed astratte. In conclusione il giudizio di Valli fa dell'Oriani quasi
un precursore del fascismo, di cui però Oriani non possedette la
chiarezza in materia economica e sociale. In definitiva, per Valli, l'Oriani
si configura come un ultraconservatore dalle idee oscure, frutto della
sua foga oratoria e del suo inguaribile egocentrismo provinciale. Sempre
su "Valdilamone" (nel terzo numero del 1933, pp. 3-6) compare
un saggio di interpretazione di Lamberto Caffarelli sulla Rivolta Ideale
animato dal suo misticismo estetico-antroposofico (Caffarelli è
sicuramente una delle personalità più complesse e originali
di tutto il periodo). Ma il dibattito prosegue anche su altre riviste,
sul Corriere Padano (del 3-1-1934) compare una Critica all'utilizzo fascista
di Oriani di Silvestrini, dove si riprendono le già citate argomentazioni
che impediscono di fare di Afredo Oriani un precursore.
In conclusione si può dire che, sebbene Piero Zama sia stato se
non l'unico uno dei pochi ad interessarsi in maniera costante e sistematica
dello scrittore del Cardello, non mancò tuttavia nella realtà
locale del primo novecento un assidua partecipazione da parte di tutti
gli intellettuali al dibattito Oriani-Fascismo o comunque allo studio
della figura di Oriani al punto che si può tranquillamente dire
che nella Romagna che va dall'inizio del secolo fino alla seconda guerra
mondiale parlare di Risorgimento o dichiararsi nazionalista e interventista
senza fare i conti con le ideologie di Oriani fu praticamente impossibile.
Conclusioni
Risolvere completamente una
tematica come l'influenza di Oriani nel pensiero degli intellettuali romagnoli
è un'impresa impossibile ed in questa ricerca ho cercato di chiarire
i postulati fondamentali dello scrittore del Cardello (il cui solo pensiero
sarebbe valida materia di studio) e il suo rapporto con il fascismo visto
attraverso gli occhi di coloro che meglio lo hanno conosciuto e più
ne sono rimasti affascinati: gli intellettuali romagnoli appartenenti
alla generazione immediatamente successiva alla sua. E' però necessario,
prima di concludere, ricordare che l'interessamento di cui Oriani godette
a livello locale, gli fu negato a livello internazionale. Molti degli
intellettuali di fama nazionale, forse perché estranei alla sua
vicenda o alla realtà locale, lo hanno spesso liquidato con affermazioni
riduttive. Un esempio può essere dato da Norberto Bobbio che nel
suo Profilo ideologico del Novecento in Letteratura Italiana (Milano,
Garzanti 1969, vol. IX, pp145-146) scrive: "La sua grande opera storica,
La lotta politica in Italia, è l'ultimo ramo di un albero che non
avrebbe dato più frutti: la storiografia della missione d'Italia
[…]" o ancora in riferimento alla Rivolta Ideale: "Nell'ultima
opera, che è il prolungamento della prima, vi è una sintesi
o un riassunto di tutti i miti, di tutti i luoghi comuni, del nostro provincialismo
nazionale e nazionalistico, di una cultura arretrata che pretende di essere
profetica". In definitiva la personalità, la vita e il pensiero
di Alfredo Oriani furono molto importanti sia a livello locale che per
l'ideologia fascista (che più volte ne fece uso), ma lo scrittore
del Cardello mancò di quel meritato riconoscimento da parte degli
intellettuali di maggior rilievo.
Bibliografia
· Il quotidiano "Corriere
Padano".
· L. Bedeschi, Il Pensiero politico di mons. Francesco Lanzoni,
Faenza, F. Lega, 1964.
· E. Valli, G. Donati, L'Itinerario spirituale di mons. Francesco
Lanzoni, a cura di G. Cattani, F. Lega, 1962.
· La rivista "La Piè".
· P. Zama, La Dittatura nera, a cura di S. Banzola, Faenza, Edit,
1999.
· A. Oriani, La Rivolta Ideale, Bologna, Cappelli, 1940.
· A. Oriani, La Lotta Politica in Italia, Bologna, Cappelli, 1939.
· B. Croce, Letteratura della nuova Italia, Laterza (BA), 1960.
· V. Cian, L'Ora della Romagna, Bologna, Zanichelli, 1928.
· A.A. V.V., Piero Zama nella cultura romagnola, Studi Romagnoli,
Faenza, 1988.
· A.A. V.V., Politica e società a Faenza fra '800 e '900,
a cura del Comune di Faenza, Galeati.
· La rivista "Valdilamone".
· A. Montevecchi, "Valdilamone" e la cultura di provincia,
in "Studi Romagnoli", XXXIII, 1982.
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